LA METODOLOGIA DI DIAGNOSI E TERAPIA MECCANICA SECONDO MCKENZIE
È un sistema di diagnosi e trattamento dei dolori del collo e della schiena sviluppato da Robin McKenzie, fisioterapista neozelandese di fama mondiale. Oggi l’efficacia di tale metodo é riconosciuta in tutto il mondo ed il Metodo di Diagnosi e Terapia Meccanica secondo McKenzie viene applicato in molti centri fisioterapici in America, Europa, Asia e Australia. Il metodo McKenzie si basa sul mantenimento di posture corrette e sull’esecuzione di esercizi specifici per trattare alcune forme di mal di schiena e di collo, quelle cioé causate da cause di tipo meccanico (legate al mantenimento di posture scorrette o all’esecuzione di movimenti dannosi). Questi esercizi sono messi a punto per ciascun paziente, poiché i problemi meccanici alla base del mal di schiena variano da individuo ad individuo. Il medico o fisioterapista esperto nel Metodo McKenzie potrà prescriverli dopo una accurata valutazione del caso clinico. Gli esercizi, se eseguiti correttamente, a poco a poco comportano una sensibile diminuzione del dolore che, dalle zone più “periferiche” del corpo, si porterà più vicino alla colonna vertebrale, fino a scomparire gradualmente. Il trattamento secondo McKenzie punta sul coinvolgimento e la partecipazione attiva del paziente per la risoluzione dell’episodio in corso, e soprattutto gli fornisce i mezzi per prevenire le ricadute. Un programma di auto-trattamento tarato sullo stile di vita del paziente, metterà il paziente in grado di controllare e trattare il proprio dolore con sicurezza ed efficacia. L’auto-trattamento rende possibile una veloce indipendenza del paziente dalla figura del medico/terapista, riducendo il numero delle visite cliniche e quindi abbattendo i costi di gestione.
LA METODOLOGIA MCKENZIE DI DIAGNOSI E TERAPIA MECCANICA DEI DISTURBI VERTEBRALI
Fonte: Alessandro Aina
fisioterapista, dip MDT, docente McKenzie
La metodologia McKenzie ha conseguito un ampio riconoscimento quale metodo conservativo di valutazione e trattamento dei disturbi meccanici della colonna vertebrale. Consiste di tre componenti fondamentali:
Dolore meccanico:
Concetto cardine per l’approccio McKenzie è che la maggior parte dei dolori lombari abbiano un’origine di natura meccanica, cioè in conseguenza alle posture che il paziente mantiene od ai movimenti che esegue . Il dolore insorge per una deformazione meccanica dei tessuti molli tale da attivare il sistema nocicettivo. L’esame di McKenzie utilizza metodi meccanici: movimenti ripetuti e posizioni mantenute per determinare le caratteristiche di tale deformazione del tessuto molle. Ciò consente di inquadrare il paziente in una o più delle sindromi meccaniche e di scegliere il metodo di trattamento appropriato. Fattori predisponenti secondo McKenzie: Trattando il problema da una prospettiva meccanica, McKenzie ha identificato due principali fattori di predisposizione derivanti dallo stile di vita: a) la postura seduta scorretta e b) la frequenza della flessione.Tali fattori meccanici possono determinare un cedimento, per eccesso di logoramento, dei tessuti molli che sostengono la spina dorsale. I fattori predisponenti sono affrontati nel piano di trattamento a breve e lungo termine per ciascun paziente, in quanto specificamente collegati al disturbo del paziente stesso.
CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE LOMBARE NON SPECIFICO
McKenzie classifica ha evidenziato tre sottogruppi di pazienti, questi sono classificabili nelle seguenti sindromi meccaniche: sindrome posturale, sindrome da disfunzione e sindrome da derangement. Tali gruppi si distinguono in base alla localizzazione della sintomatologia, alla presenza od assenza di deformità spinale acuta (shift laterale, inclinazione del tronco, etc.) e dell’effetto di movimenti ripetuti sul pattern del dolore.
IL METODO McKENZIE DI VALUTAZIONE DEL DOLORE VERTEBRALE
Esame dei movimenti ripetuti: Elemento chiave del metodo di esame secondo McKenzie è l’accurata valutazione dell’effetto dei movimenti ripetuti e delle posizioni mantenute sul quadro doloroso del paziente e sulle sue limitazioni articolari. Il terapista classifica il paziente analizzando gli effetti di tali test.
Le tre sindromi:
Le tre sindromi meccaniche sono disturbi singoli e distinti. Sono identificate sulla base delle caratteristiche comuni nella risposta del dolore ai movimenti di test ripetuti a fine arco di movimento.
MODELLO TEORICO DELLA SINDROME DA DERANGEMENT
McKenzie ha ipotizzato che i pazienti che presentano tale sindrome siano affetti da un disturbo meccanico all’interno del disco intervertebrale. Il suggerimento teorico che può rendere in parte le ragioni per tale ipotesi ed addurre una prova a sostegno della sua plausibilità è il seguente: un’eccessiva deformazione o spostamento delle parti centrali e mobili del disco intervertebrale può dar luogo a dolore o perdita di movimento. A condizione che il meccanismo idrostatico del disco vertebrale sia intatto, il tessuto deformato o spostato può essere ricondotto alla propria posizione o forma normali, con rapida scomparsa del dolore e ripristino del movimento. Quanto più sono consistenti la distorsione e lo spostamento, tanto maggiori sono il dolore riferito e la probabilità di deformità vertebrale acuta. Ciò può progredire fino a divenire protrusione, estrusione o sequestro del disco intervertebrale, in cui si perde il meccanismo idrostatico e si possono provocare segni di irritazione e compressione della radice nervosa. A tale punto è improbabile un rapido recupero attraverso terapia meccanica ed il paziente o risponderà lentamente al trattamento, o richiederà un intervento più invasivo.
IL FENOMENO DELLA CENTRALIZZAZIONE:
Il fenomeno della centralizzazione, così come descritto da McKenzie, può essere definito nel modo seguente: in conseguenza della esecuzione ripetuta di certi movimenti e/o dell’assunzione di certe posizioni, il dolore che origina dal rachide e viene riferito distalmente si sposta dalla periferia verso la linea mediana della colonna. Una volta identificati, i movimenti che determinano tale fenomeno possono essere utilizzati per eliminare i sintomi riferiti. In pazienti con dolore di origine recente, tale processo può essere estremamente rapido ed in alcuni casi può verificarsi nell’arco di pochi minuti.
La centralizzazione dei sintomi si ha solo nella sindrome da derangement durante il processo di riduzione. E’ in base a tale mutamento nella localizzazione dei sintomi con i movimenti ripetuti di test che si identifica il gruppo di pazienti con sindrome da derangement. Esistono numerosi lavori scientifici sul fenomeno della centralizzazione. Questi dimostrano che la centralizzazione dei sintomi ci permette di:
IL METODO MCKENZIE DI TRATTAMENTO DEL DOLORE VERTEBRALE
Il trattamento in generale consiste di procedure meccaniche tese a migliorare la postura, a recuperare un arco di movimento completo e senza dolore in tutte le direzioni ed a ristabilire la piena funzionalità per attività domestiche, occupazionali e ricreative. Le procedure si applicano in maniera specifica, a seconda del tipo di sindrome meccanica da trattare. Esiste una progressione delle procedure utilizzate: le forze vengono esercitate passivamente, a partire dalle posizioni e dai movimenti del paziente per terminare, solo se necessario, con tecniche applicate dal terapista. Il trattamento inizia esplorando le posizioni ed i movimenti che il paziente stesso può effettuare e valutando l’effetto sui sintomi. Se, nel trattamento della disfunzione e del derangement, si ha un certo grado di miglioramento che tuttavia rimane incompleto, il terapista progredirà nel trattamento nella stessa direzione, attraverso l’uso di forza applicata dall’esterno o della terapia manuale. In tal modo, si applica una progressione di forze meccaniche al problema meccanico del paziente, al fine di eliminare il dolore e ripristinare la funzione. Nella sindrome da disfunzione l’effetto ricercato, sul quadro doloroso, tramite l’applicazione della forza è diverso da quello della sindrome da derangement. Nella disfunzione, il dolore deve essere prodotto alla fine dell’arco di movimento, per alleviare gradualmente i sintomi e ristabilire la funzionalità. Nel derangement, il dolore deve essere centralizzato ed abolito, per alleviare rapidamente i sintomi. La piena funzionalità si ripristina quando la condizione si è stabilizzata (analogamente al trattamento di fratture). E’ da evidenziare che le procedure utilizzate per stirare la disfunzione o ridurre il derangement rappresentano solo una parte della terapia meccanica.
PRINCIPI DI TRATTAMENTO SPECIFICI PER LE TRE SINDROMI
Trattamento della sindrome posturale: Il principio basilare del trattamento è la correzione della postura o della posizione che causa la sintomatologia, ovvero la postura seduta, eretta o sdraiata e le posizioni mantenute durante il lavoro o le altre attività. Spesso i pazienti con sindrome posturale sono persone sedentarie e non allenate. Pertanto, assieme alla correzione posturale si incoraggia l’aumento dell’attività, per ottenere uno stile di vita con maggiore equilibrio tra attività ed inattività.
Trattamento della sindrome da disfunzione:
L’obbiettivo principale del trattamento è lo stiramento delle strutture accorciate. Il principio di trattamento dipende dal tipo di disfunzione, vale a dire flessione, estensione, scivolamento laterale, radice nervosa aderente (una forma di disfunzione in flessione) e disfunzione multi-direzionale. Oltre alle procedure di stiramento, è parte importante del trattamento la correzione posturale. Abitudini posturali scorrette potrebbero aver portato alla disfunzione mediante un accorciamento adattivo. Con la correzione posturale, le strutture accorciate possono essere tenute lontane dallo stiramento a fine arco di movimento ed il dolore potrebbe essere avvertito con frequenza assai minore.
Trattamento della sindrome da derangement:
Le fasi del trattamento del derangement possono essere paragonate al trattamento di una frattura. Il principio di trattamento dipende dal tipo di derangement,- vale a dire posteriore, postero-laterale, anteriore, antero-laterale – e dalla presenza od assenza di deformità acuta. Per i pazienti con deformità spinale acuta si rende spesso necessaria la tecnica o l’assistenza del terapista, prima che questi possano iniziare l’auto-trattamento.
Responsabilità del paziente:
La diagnosi meccanica ed il trattamento si basano su una concordanza tra causa ed effetto, vale a dire tra forze meccaniche e dolore / risposte funzionali. Anche le istruzioni per l’auto-trattamento si fondano sugli stessi principi di causa ed effetto. In tal modo, il programma da svolgere a casa diviene molto specifico per i problemi individuali del paziente. Le istruzioni posturali ed ergonomiche e le prescrizioni concernenti gli esercizi di auto-trattamento (frequenza e ripetizione degli esercizi) non sono una casuale procedura di routine di azioni e serie/ripetizioni di esercizi, in attesa di un eventuale mutamento della condizione. Nell’approccio di McKenzie ci sono strumenti dinamici specificamente correlati al dolore ed allo status funzionale individuale del paziente. Essi mirano ad influenzare immediatamente sia la causa meccanica del disturbo, sia i fattori riconducibili allo stile di vita che impediscono un rapido recupero e favoriscono le recidive e la progressione del disturbo stesso.
IL METODO McKENZIE DI PREVENZIONE DELLE RECIDIVE E DELL’AGGRAVAMENTO
Non è più accettabile considerare soddisfacente un sollievo dell’episodio, senza un beneficio a lungo termine. A tal fine l’educazione del paziente costituisce parte essenziale del trattamento. Nell’approccio McKenzie, quelle istruzioni e procedure che portano al recupero del paziente, divengono il fondamento delle indicazioni a lungo termine. Le relazioni di causa meccanica ed effetto sintomatico, identificate con l’esame, divengono lo strumento di reazione necessario per il trattamento. Tali misure di reazione vengono mutate in un meccanismo efficace pro-attivo, che previene l’insorgenza di un episodio successivo. Vengono illustrate le fasi del disturbo meccanico specifico inerente il problema del paziente e si sottolinea l’azione appropriata per le fasi iniziali o quando si sviluppano i primi segnali di allarme. La chiave per la riuscita della prevenzione delle recidive è l’auto-intervento, prima che si avverta dolore.
COMPENDIO E CONCLUSIONI
Il metodo McKenzie non è un ricettario di semplici esercizi di estensione applicati a tutti i pazienti, irrispettoso dalla causa meccanica sottostante; è un concetto che porta a risposte ritagliate su misura per gli specifici problemi individuali di ciascun paziente. In breve, l’approccio McKenzie è un metodo unico, che ha tre inscindibili obiettivi: un sistema di classificazione meccanica (diagnosi meccanica), un sistema di trattamento meccanico (terapia meccanica) ed un concetto di profilassi meccanica. Ciascuna di tali aree è definibile e misurabile ed in ciascuna di tali aree è stata svolta od è in via di sviluppo la ricerca clinica. Finalità del trattamento sono l’eliminazione del dolore, il ripristino della piena funzione e la prevenzione delle recidive. Gli obiettivi clinici dell’approccio McKenzie possono essere conseguiti con successo dalla gran parte della popolazione con problemi vertebrali non specifici.
BIBLIOGRAFIA DI INTERESSE, ORDINATA CRONOLOGICAMENTE
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SINTESI DE: “IL FENOMENO DI CENTRALIZZAZIONE DEI SINTOMI VERTEBRALI – UNA REVISIONE SISTEMATICA”
riassunto da un articolo pubblicato sulla rivista: Manual Therapy 9 (2004) 134-143
Riassunto:
Il fenomeno della centralizzazione è stato descritto per la prima volta 20 anni fa (1). Si riferisce all’abolizione del dolore distale a provenienza vertebrale, in relazione ad esercizi terapeutici (vedi figura 1). Da allora sono stati pubblicati molti lavori su questo argomento. Ci è sembrata appropriata una revisione. Prima della ricerca computerizzata dei lavori pubblicati, sono stati stabiliti dei criteri di selezione. Due revisori indipendentemente estraevano i dati e verificavano la qualità dei lavori; il terzo risolveva i disaccordi. I dati raccolti sono serviti per una revisione narrativa. La revisione prendeva in esame principalmente la prevalenza, la riproducibilità della valutazione ed il significato prognostico. Questi dati sono stati la gran parte delle volte riportati dai lavori e sono importanti per permetterci di stabilire il valore clinico di questa risposta sintomatica. Sono stati identificati 14 studi. La loro qualità era variabile; utilizzando criteri stabiliti di qualità, agli studi prognostici è stato dato un valore medio di 3.3 su 6. La prevalenza della centralizzazione (totale o parziale) è stata del 70% in 731 pazienti in fase sub acuta e del 52% in 325 pazienti cronici. E’ una risposta sintomatica che può essere valutata in modo riproducibile durante l’esame obiettivo (valori di kappa 0.51-1.0). La centralizzazione è costantemente associata ad un buon risultato e la mancanza di centralizzazione con un risultato scarso. La centralizzazione sembra identificare un sottogruppo specifico nei pazienti vertebrali; è un fenomeno clinico che può essere valutato con riproducibilità ed è associato con una buona prognosi. Occorrerebbe monitorare la centralizzazione nella valutazione dei pazienti vertebrali.
Risultati:
Sono stati trovati quattordici lavori (13 studi separati) che si riferivano od investigavano la centralizzazione (nessuno prima del 1990 (2-15).
Definizione:
esiste ampio consenso rispetto alla definizione: abolizione del dolore distale in risposta alla deliberata applicazione di movimenti o posizionamenti. Werneke (1999) utilizza una definizione più restrittiva: deve avvenire solo durante i trattamenti e ad ogni visita deve progredire onsecutivamente verso la colonna sino ad abolirsi ; questo autore descrive anche un gruppo a centralizzazione parziale: i sintomi distali cambiano ma meno completamente o non in ogni visita.
Prevalenza:
Nella meta analisi di 1056 pazienti in 10 studi , la centralizzazione avvenne in 681 pazienti. Nei sub acuti (meno di 7 settimane) 511 su 731 centralizzarono (70%), nei cronici 170 su 325 centralizzarono (52%).
Prognosi:
Sei studi (3,8,9,11,12,14) analizzano il valore prognostico della centralizzazione comparando i risultati dei centralizzanti con i non centralizzanti. La centralizzazione è correlata con risultati buoni/eccellenti: maggior riduzione nell’intensità del dolore, percentuali maggiori di ritorno al lavoro, maggior incremento funzionale, minor utilizzo di altre cure.
Riproducibilità:
Cinque studi analizzano la riproducibilità (2,11,12,13,15). La percentuale di accordo varia dall’88 al 100%. I valori di kappa sono stati: 0.51 (2), 0.92 e 1 (12,134, 0.82 e 0.76 -diplomati e studenti fisioterapisti (13), 0.7 (15).
Strategie di sollecitazione:
la direzione di sollecitazione che induce la centralizzazione è stata analizzata in tre studi (3,4,5). utilizzando solo sollecitazioni sul piano sagittale la direzione estensione determina la centralizzazione molto più della flessione.
Implicazioni diagnostiche:
Solo uno studio esamina il criterio di validità della centralizzazione paragonando, in cieco, i risultati della valutazione meccanica con la discografia (10). I centralizzanti (o periferalizzanti) avevano più probabilità di avere una discografia positiva. I centralizzanti nel 91% dei casi avevano un anulus competente (p>0.001), a paragone con il 54% dei periferalizzanti.
Conclusioni:
Questa revisione ha messo in luce come la letteratura in quest’area sia per la gran parte di debole o moderata qualità. Ci sono due lavori di alta qualità (8,14). La centralizzazione totale o parziale è un fenomeno clinico comune. Può essere valutato con riproducibilità buona ed è legato in modo consistente ad un risultato migliore. Si verifica frequentemente con esercizi o posture in estensione, ma anche con altre strategie di sollecitazione. Uno studio (14) ha dimostrato che la mancanza di centralizzazione è un importante predittore di risultati negativi ad un anno. Questa risposta sintomatica ha importanti implicazioni terapeutiche e prognostiche, in relazione alla sua prevalenza e riproducibilità dovrebbe essere monitorata di routine durante la valutazione di pazienti vertebrali ed utilizzata per guidare il trattamento.
Bibliografia:
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“SONO POCHI I FORTUNATI CHE NON SOFFRONO DI MAL DI SCHIENA O DI COLLO”
Per il solo fatto di vivere su questo pianeta, puoi entrare a far parte di quella schiera di 80 persone su 100 che soffrono di mal di schiena o di collo. Queste 80 persone non differiscono tra loro per il lavoro che svolgono; al loro interno sono egualmente rappresentati sia chi svolge un lavoro sedentario, sia chi ne ha uno molto attivo. Se però sei di sesso maschile ed hai più di 30 anni, allora le tue probabilità crescono. D’altronde, se ne hai già sofferto, non te ne devi ritenere immune, le statistiche dicono che a circa 90 persone su 100 il mal di schiena ritorna. A volte ritorna in un modo diverso e più invalidante: coinvolgendo l’arto inferiore con la cosiddetta sciatica. Anche nella colonna cervicale i sintomi possono irradiarsi, logicamente lungo l’arto superiore con la cosiddetta cervico brachialgia. Eppure non ti sembra di fare cose così strane, tali da produrti questi sintomi: non hai subito traumi nè incidenti, non fai cose avventate. Per chiarire quanto poco si sappia sui meccanismi che scatenano il mal di schiena o di collo, basta ricordare che all’incirca nel 60% dei casi il paziente non è in grado di riferire un movimento, un trauma, qualche cosa insomma che, di diverso dal solito ed avvenuto nei momenti immediatamente precedenti all’insorgere del mal di schiena o di collo, lo possa giustificare. L’ estrema difficoltà nel capire la causa del dolore e quali siano le strutture anatomiche che originano la sintomatologia, si trasferisce pari pari nel campo della terapia. C’è chi dice caldo e chi freddo, chi racconta di essere stato a riposo e chi invece dice di aver fatto ginnastica, chi ha assunto dei farmaci allopatici e chi si è curato con l’omeopatia, chi è stato dal chiropratico e chi dal massaggiatore, chi ha svolto delle sedute di elettroterapia antalgica e chi invece ha trovato benefici dalla riflessoterapia; non è raro trovare anche chi, non avendo trovato aiuto dalla medicina ufficiale, si reca dal pranoterapeuta.
IL MAL DI SCHIENA, ALCUNI DATI:
Costo: 1000 miliardi di lire nel 1995 per la Gran Bretagna, comprensivo di iter diagnostico, terapie, cassa malattia, eventuale stipendio del sostituto Tasso di crescita: negli U.S.A.dal 1957 al 1976, 14 volte l’incremento demografico Decorso della malattia per la zona lombare: di tipo autolimitante. Il 44% dei pazienti che hanno un episodio acuto guariscono in 1 settimana, l’86% in un mese, il 92% in due mesi e questo indipendentemente dal tipo di terapia Recidive: il 90% delle persone che hanno avuto mal di schiena avranno delle ricadute. Nel 35% dei casi una fastidiosa lombalgia si trasformerà in una ben più invalidante sciatica! Anche nella zona cervicale i sintomi tendono, nel tempo, a portarsi, lungo il braccio, più lontano dalla colonna. Tenendo a mente le due caratteristiche dei dolori vertebrali: autolimitazione e recidive, per affrontare questo problema non solo occorre curare l’episodio in corso, ma anche prevenire le ricadute. Questo semplice cambiamento di punto di vista comporta un salto qualitativo molto grande nella terapia e nel coinvolgimento del paziente: certo ti rivolgi a personale qualificato per curare questo episodio doloroso, ma poi sei tu che devi prenderti cura dei tuoi sintomi, ci sei tu quando la sottoponi a quel tipo di sollecitazioni che insieme al tuo fisioterapista o medico hai scoperto essere negative. Poichè nel 60% dei casi non esiste un episodio scatenante ben identificabile, con ogni probabilità la causa è in nuce nei movimenti e nelle posizioni che assumiamo durante la nostra vita di tutti i giorni. Questi movimenti e posizioni non sono dannose di per sè ma lo diventano quando vengono ripetuti o mantenute al di là delle possibilità della schiena o del collo di resistere. Pensando a come trattiamo la nostra colonna da quando siamo nati, forse c’è da stupirsi non tanto perchè soffriamo, quanto perchè il dolore ci abbia risparmiato sino ad ora. La metodologia McKenzie (dal nome dell’ideatore: Robin McKenzie, fisioterapista Neo Zelandese), affronta i dolori vertebrali curando l’episodio in corso ma soprattutto educando il paziente a prevenire le ricadute. Nella cura e nella prevenzione, l’arma vincente è l’autotrattamento. Gli esercizi terapeutici e le posture, frutto di una attenta analisi individuale effettuata dal fisioterapista,dovranno essere svolte ripetutamente, ogni giorno dal paziente stesso. A lui viene demandato il potere (e la responsabilità) della cura. Anche se tutti quanti abbiamo l’80% di probabilità di andare incontro a dolori vertebrali, non tutti, nell’esercizio della loro professione o nel tempo libero, sollecitano allo stesso modo la loro colonna vertebrale. Due cose però, ci accomunano: la posizione seduta prolungata e la graduale diminuzione del movimento della colonna in una direzione dello spazio: l’estensione o piegamento indietro. Iniziamo dalla posizione seduta, allo scopo di analizzare questa sollecitazione posturale e renderla il meno negativa possibile per la nostra schiena ed anche per il nostro collo.
La posizione seduta:
(ciascuno mentre avanza nella lettura pensi a quante ore ci sta ogni giorno) è una posizione che, se mantenuta a lungo, pone la colonna vertebrale in posizione scorretta (vedi Fig. 3.1; n.b. tutte le figure citate sono tratte dal libro: Prendersi cura della propria schiena di R. McKenzie, vedi un poco tu se riesci a far mettere anche delle figure o disegni sull’articolo), determinando delle distorsioni nelle strutture più profonde della colonna vertebrale. Le modificazioni che avvengono possono determinare dolore che, partendo dalla zona lombare o cervicale, può progredire sino al di sotto del ginocchio o del gomito. Il cambiamento di localizzazione dei sintomi, che vengono percepiti in zone mano a mano più lontane dalla colonna vertebrale, ha il significato di una progressione della distorsione delle strutture vertebrali più profonde. Può accadere che mi sieda in ufficio ed inizi ad avere dolore lombare o cervicale, poi man mano che la giornata va avanti il dolore si sposta più distalmente alla colonna. La schiena o il collo ci stanno dicendo che quella posizione è negativa e mantenerla peggiora la sintomatologia, allontanandola dalla colonna vertebrale (Vedi fig. 4.0: centralizzazione e periferalizzazione dei sintomi). Spesso accade che, dopo essere stati seduti, quando ci si alza, la schiena o la zona cervicale non si raddrizzi con la consueta scioltezza ma sembra essere diventata più rigida. Il dolore, passando da seduto all’impiedi, aumenta. Qualcosa si è distorto all’interno della colonna ed ha difficoltà a ritornare alla sua posizione. Il colpo dela strega non è altro che la manifestazione dell’assoluta incapacità da parte delle strutture distorte, di ritornare nella loro posizione fisiologica, impedendo così alla colonna di raddrizzarsi. Come agire? la cosa migliore è quella di prevenire: bisogna stare seduti diritti, mantenendo la lordosi fisiologica, mantenendo cioè, anche in posizione seduta, quella curvatura sia nella colonna cevicale che nella parte bassa della schiena che ciascuno ha quando sta in posizione eretta. State seduti su una una sedia fornita di schienale, utilizzando un rotolo lombare McKenzie (vedi figura 3.12). E’ un cuscino che il paziente posiziona all’altezza della vita e che dà una spinta meccanica per mantenere nella schiena la lordosi fisiologica. Riacquistando la lordosi lombare fisiologica, anche la colonna cervicale si pone in una posizione più corretta. I cuscini lombari sono di diverse forme, a seconda delle caratteristiche antropometriche dei pazienti, ma ogni cuscino ha lo stesso scopo: mantenere la lordosi lombare che si ha quando si sta in posizione eretta. Mantenere la colonna nella posizione corretta da seduti, permette di ottenere due risultati: 1) evitando o riducendo le modificazioni nelle strutture della colonna, determina la scomparsa o diminuzione del dolore. Occorrà quindi una sollecitazione più prolungata per farlo comparire; 2) la mancata sollecitazione negativa alla schiena o al collo ci permette di affrontare gli sforzi successivi senza che provochino ripercussioni negative. Si evita che si verifichi la seguente scenetta: si sta seduti a lungo in modo scorretto, magari in macchina, poi ci si china per prendere qualcosa nel bagagliaio e … immediatamente si senta dolore e non ci si riesca più a raddrizzarsi. Uno sforzo: sollevare una valigia dal bagagliaio, che di solito si riesce a fare senza problemi, proprio perchè ho tenuto la colonna nella posizione scorretta, risulta essere la sollecitazione che fa la differenza. Può avvenire che, benchè sia nella posizione corretta, la schiena o la zona cervicale possa dolere; occorre interrompere frequentemente la posizione seduta, ogni 30 minuti alzatevi e sgranchitevi! Prendetevi cura della vostra schiena e del vostro collo: state seduti dritti, alzatevi ogni 30 minuti e sgranchitevi, vincete l’assenza di movimento che caratterizza la nostra vita di uomini “civili” muovendovi più spesso e più a lungo!
Diminuzione del movimento nella direzione dell’estensione o piegamento indietro:
esistono dei movimenti della nostra colonna vertebrale che raramente vengono effettuati durante le nostre normali giornate: sono tutti quei movimenti che fanno sì che la nostra schiena o il collo si pieghino all’indietro. Ci viene naturale farlo, per rilassare la schiena dopo un viaggio un pò lungo in macchina o dopo essere stati piegati in avanti in modo continuativo. Non fare mai questo tipo di movimenti, determina l’incapacità della nostra schiena di piegarsi all’indietro. La schiena o il collo si fanno più rigidi… è il primo passo verso il dolore. Che cosa fare?
Schiena:
Occorre estendere la schiena piegandola all’indietro. Lo si può fare in modo progressivo seguendo i seguenti passi: mettersi sdraiati proni (esercizio 1 del libro) da proni sistematevi in appoggio sui gomiti (esercizio 2) utilizzando le braccia effettuate, come nella figura, ripetuti piegamenti all’indietro. Iniziate lentamente ed in progressione cercate di raggiungere la massima escursione possibile di movimento, ripetilo almeno 10 volte (esercizio 3) se, durante la giornata, non hai la possibilità di metterti sdraiato, puoi piegarti all’indietro in stazione eretta, ripetilo almeno 10 volte (esercizio 4). Effettuare questi movimenti serve a mantenere la schiena elastica ed a bilanciare le distorsioni che avvengono nella nostra schiena, indotte dai continui movimenti di flessione in avanti che facciamo durante una nostra normale giornata: da quando ci chiniamo sul lavandino al mattino per lavarci la faccia a quando, la sera, ci chiniamo per toglierci scarpe e calze e metterci a letto.
Collo:
anche in questo caso occorre piegarlo all’indietro. Inizia con il seguente esercizio retrazione: siediti ben diritto su una seggiola e spingi la tua testa indietro facendo il doppio mento. Stai attento a non sollevare né abbassare il mento stesso che deve spostarsi indietro senza alzarsi né abbassarsi, ripetilo almeno 10 volte (esercizio 1 Prendersi cura del proprio collo) passa poi all’esercizio di estensione vera e propria andando a guardare in alto e dietro di te, partendo dalla posizione di retrazione che hai raggiunto con l’esercizio precedente, ripetilo almeno 10 volte (esercizio 2 Prendersi cura del proprio collo). Ripeti gli esercizi cervicali 1 e 2 più volte durante la giornata per aiutarti. Le correzioni posturali e gli esercizi qui proposti per i problemi lombari e cervicali, non sono la panacea per tutte le persone che soffrono. Se prenderti cura della tua schiena o del tuo collo nel modo qui prospettato non ti aiuta, hai bisogno di un fisioterapista o di un medico competente di problemi meccanici della colonna; con lui metterai a punto il programma di esercizi e di correzioni posturali a te più adatto.
Per trovare il professionista a te più vicino o per avere informazioni sui rotoli lombari o sul libro ove sono contenuti tutti gli esercizi di autotrattamento qui dimostrati, puoi telefonare a: Spinal Publications Italia, tel +39 02 9390 4158.